Cultura

Parla Alessandro Portelli. Meno male che c’è Springsteen

Negli stati uniti Anche il rock si è allineato al patriottismo. Con l’eccezione di Bruce. Intervista a un grande esperto di musica Usa

di Barbara Fabiani

Anche l?America è un «mondo a parte», come recita la canzone di Bruce Springsteen sui palestinesi. Quel che fa successo al di qua dell?Oceano è minoritario sull?altra sponda. Quel che tocca le coscienze del pubblico qui, non fa breccia di là. Così, dopo l?11 settembre la musica americana ha trovato un argomento di ispirazione che mette in luce una sensibilità tutta da scoprire. Una sensibilità che Alessandro Portelli, professore di letteratura americana a La Sapienza di Roma, non ha segreti. E che mette insieme amore per la propria terra, valori umanitari e anche un certo bellicismo. La musica Usa del 2002, con poche eccezione, è musica patriottica. Vita: Secondo lei c?è una diversità tra il comportamento di Hollywood, che fa da gran cassa al potere, e quello del mondo musicale? Alessandro Portelli: Nel caso del cinema credo che le motivazioni politiche si mischino a quelle commerciali. I film di guerra sono sempre stati un genere molto popolare, e visto che gli Usa si sentono in guerra, perché non riproporli? Nella musica, invece, non c?è mai stato un vero e proprio genere ?canzone di guerra?, anche se non è mancata una tradizione di canzoni patriottiche , soprattutto durante la Seconda guerra mondiale. Aggiungiamo anche che fare un film costa molto di più che fare un disco, ed è difficile oggi che una forza di opposizione negli Usa trovi i capitali necessari per contestare il governo. Vita: Eppure ci sono stati film di guerra contro la guerra… Portelli: Sì, ma dall?epoca Reagan in poi se ne sono visti sempre di meno. E poi riguardavano soprattutto il Vietnam dove gli Usa hanno perso 50mila giovani americani. In Afghanistan la situazione è andata molto diversamente. Vita: Dopo l?11 settembre la musica americana come è cambiata? Portelli: Il panorama musicale è più articolato di quello cinematografico. Le posizioni espresse sono più complesse ma non c?è una produzione di contestazione vera e propria. Vita: Neil Young, voce tra le più note del country, ha scritto Let?s roll, una canzone sull?eroismo dei passeggeri dell?aereo Filth 93 che sarebbe stato dirottato contro la Casa Bianca e che si sono sacrificati. Il titolo si riferisce alla frase che avrebbero detto nel prendere la decisione di morire. Anche Lee Greenwood, dopo l?11 settembre ha scritto canzoni di esaltazione dei valori americani, come I?am proud to be american. Ma dobbiamo anche considerare i pubblici di riferimento. Il country è sempre stato un genere molto popolare, ascoltato nel sud del Paese, notoriamente di posizioni più conservatrici, e dai militari. L?audience del rock, invece, pur essendo altrettanto popolare, diremmo che è un po? più raffinata. L?esempio migliore è certamente l?album di Bruce Springsteen The Rising in cui l?enfasi è sul dolore della perdita, sul confronto con la morte e la tragedia. Non sventola la bandiera, non parla di eroismo. Ma attenzione, non troverete una parola di contestazione sul sistema americano. Ma va segnalata in particolare la canzone World Apart, in cui Springsteen è l?unico a essersi fatto delle domande sulle ragioni dei palestinesi nella questione mediorientale. Ha fatto qualcosa di analogo anche il country-rocker Steve Earl, pagandola molto cara. Vita: Ovvero? Portelli: Earl ha scritto John Walker?s blues, dedicata all?americano che si era arruolato con i talebani, interrogandosi sui motivi che avevano portato questo ventenne a unirsi a dei fondamentalisti islamici contro il suo Paese. La canzone è stata boicottata da tutte le radio e lui ha ricevuto forti critiche e anche minacce, tanto che Earl sta pensando di andare via dagli Usa. Vita: E la musica degli afroamericani? Portelli: Ci sono stati alcuni rapper che, come Springsteen, hanno espresso posizioni ?più complesse?. Ma anche qui c?entra il pubblico di riferimento. Nell?universo afroamericano la disponibilità ad accodarsi alle fanfare patriottiche dei bianchi è meno forte, e questa distanza è segnata anche dal pubblico bianco che segue il rap. Vita: Quindi non esiste un Bono vox americano Portelli: Direi di no. E credo che negli Usa Bono Vox abbia molto meno presa che da noi. Personalmente lo apprezzo, perché è una persona che si assume delle responsabilità come personaggio pubblico e ha fatto anche delle belle canzoni, ma non credo che oggi sia l?aedo del cosiddetto movimento. Anche per una questione generazionale. Manu Chao è senz?altro più rappresentativo, e in Usa è ascoltato ancor meno di Bob Marley.


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